Così ricorrendo alla 1. 3, Dig. De Sep. Debitor fidejussori ecc. si potrà sostenere, che tanto nel caso, che il debitore principale divenga erede del suo fidejussore, quanto in quello in cui il fidejussore divenga erede del suo debitore principale, potrà il creditore domandare la separazione dei patrimoni. E chiamando in appoggio, sia la 1. 1, §. 1, eod. tit., sia il principio inclusio unius est exclusio alterius, sostenibile di fronte ai nostri articoli 1032 e 2055 si verrà a negare ai creditori dell'erede il diritto di chiedere la separazione dei patrimoni. Nè su questo punto deve sorgere dubbio alcuno intorno al ritenere, che il nostro Codice non abbia voluto seguire l'antico Diritto Francese, (1) che invece permetteva ai creditori dell'erede di valersi di questo benefizio. Invano si sosterrebbe l'opinione contraria, fondandosi sul silenzio del nostro Codice, che espressamente non venne a negare tale diritto ai creditori dell'erede, come aveva fatto il Codice Napoleone all'art. 881. Il nostro legislatore non riconobbe la necessità di riprodurre l'art. 881, poichè l'insegnamento in esso contenuto era implicito nel concetto stesso che si formava della separazione dei patrimoni e non si poteva dire, che per ragioni di equità, di reciprocità, si dovesse tuttavia accordare anche ai creditori dell'erede il benefizio della separazione dei (1) Vedi DOMAT: op. cit., lib. IV, tit. 2, sez. 1.o, n.o 1, che riteneva, che anche i creditori dell'erede potessero chiedere la separazione e che circa all'opinione contraria sostenuta dalla 1. 1, §. 2, Dig. De Sep. diceva: « cette << subtilité n'a pas été goûtée dans notre usage ». patrimoni poichè questi come ebbi già luogo di notare nella parte del Diritto Romano sono in altri modi abbastanza tutelati. Anzi, non esito a dire, che i diritti dei creditori dell'erede sono forse ancor più tutelati di quelli dei creditori del defunto, poichè mentre questi devono fare degli atti dentro un certo tempo, per ottenere la separazione e per non decadere dai diritti che hanno sui beni, sui quali avevano fatto fino allora assegnamento, i creditori dell' erede al contrario possono aspettare perfino quando sia avvenuta la confusione, per ottenere coll'actio Pauliana (1) che le cose siano rimesse nello stato primitivo, dimostrando essere avvenuta l'accettazione in frode dei loro diritti, specialmente se possono provare che l'erede fu consigliato da altri o da loro stessi a ricusare l'eredità come dannosa. Faceva dunque bene il Codice Napoleone ad ispirarsi ai savi principii del Diritto Romano col non ammettere, che i creditori dell'erede potessero chiedere la separazione dei patrimoni, rigettando così non solo (1) II DUFRESNE: op. cit., pag. 19, farebbe dire al CHABOT: op. cit., sur l'art. 881, n.o 2, che in questo caso esso non ammetterebbe l'applicazione dell'art. 1235, fondandosi sul silenzio della legge che in nessun articolo non viene ad autorizzare l'applicazione del principio dell'azione Pauliana all'accettazione fraudolenta per parte dell' erede. Ma ciò non è necessario risponde lo stesso Dufresne siccome non c'è nessun articolo che l'impedisca s'intende, anche questo caso compreso nell'art. 1235. Il DOLLINGER: op. cit., n.o 56 osserva cha il Dufresne non comprese il Chabot, che non voleva già negare tale facoltà ai creditori dell'erede, ma soltanto osservava, come fosse principio elementare, che l'accettazione di una successione è irrevocabile e che i creditori soltanto in certi casi speciali possono allontanare gli effetti disastrosi, che poteva avere per essi. l'opinione dell'antica giurisprudenza francese, (1) ma anche gli erronei suggerimenti di alcune Corti d' Appello. (*) E si deve in un modo indubitato ritenere, che eguale opinione accolse pure il nostro legislatore italiano. A completare questa rapida esposizione della separazione dei patrimoni ricorderò, come anche le Disposizioni Transitorie del 1865 all'art. 43 se ne occupassero. In quell'articolo fece bene il legislatore italiano ad uniformarsi ai principii generali della dottrina della retroattività. Esso lasciò chiaramente adito a ritenere, che tanto il diritto a chiedere la separazione, quanto le condizioni e gli effetti di questo benefizio, dovevano sempre essere regolati dalla legge vigente nel giorno dell'apertura della successione. Tale è l'insegnamento contenuto, non solo nel Dalloz, (3) ma anche nella teoria della Retroattività delle Leggi del Prof. C. F. Gabba. (*) (1) Al dire del BONIFACIO: t. 2, lib. IV, tit. 3, cap. 7, gli antichi giureconsulti francesi sarebbero giunti ad accordare la separazione perfino ai legatari dell'erede. Secondo il MERLIN: luog. cit., §. 1, n.o V, quest'opinione sarebbe stata accolta fondandosi sull'autorità del Diritto Romano. Su che fondi il Merlin tale opinione, non so veramente capire, avendo visto precedentemente come il Domat a questo proposito avvertiva, che anzi si derogava ai principii del Diritto Romano. (*) GABBA: Teoria della Retroattivita delle Leggi, t. 3, fascic. XVII, pag. 236 e seg. CONCLUSIONE Riassumendo in poche parole il fin qui detto, farò osservare come il diritto alla separazione dei patrimoni finisse per spettare ai soli creditori ereditari e legatari e come il suo concetto sempre più si allargasse nelle moderne legislazioni. Questo benefizio infatti, secondo il mio modo di vedere, ha percorso quattro diverse fasi. Dapprima era retto dai sommi principii del Diritto Romano; però anche allora, come ho già notato, si trovava regolato in un modo non abbastanza chiaro e non rispondeva al concetto più equo che de jure condendo doveva formarsi. Dal Diritto Romano passò nell'antico Diritto Consuetudinario Francese, che accrebbe le incertezze ed i dubbi, e venne a far cambiare completamente carattere a questa istituzione. La legislazione del Codice Napoleone in pochi e disordinati articoli riproduceva gli erronei ammaestramenti del Droit Coutumier, cominciando però ad applicare ad esso il non mai abbastanza lodato principio della pubblicità di tutti i vincoli, che affettano gli immobili. E il Codice Civile Italiano, mentre coll'art. 2060, richiedeva sempre l'iscrizione, perchè potesse in qualunque modo farsi valere sugli immobili, da un altro lato veniva forse a danneggiare troppo i terzi coll'art. 2062 da lui dettato coerentemente all'idea, che si formava della separazione quale un diritto privilegiato sui generis. Ma almeno faceva ritorno in molti punti a quel Diritto Romano, che a torto aveva abbandonato l'antico Diritto Francese. Meritate lodi ritengo dunque debbano spettare al legislatore italiano, che meglio di tutti regolò e riordinò questa materia. Tuttavia non vuolsi negare, che essa sia suscettiva di un ulteriore progresso e che sia da deplorarsi che il Titolo XXIV del Libro III del nostro Codice, nel quale si potrebbero introdurre alcune utili modificazioni, non si sia occupato di un maggior numero di questioni controverse, non ultima delle quali avrebbe dovuto essere la questione da me specialmente considerata: DEI RAPPORTI TRA I CREDITORI DEL DEFUNTO E QUELLI DELL'EREDE RISULTANTI DALLA SEPARAZIONE DEI PATRIMONI. 15 Decembre 1870. |