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i trattatisti (1) nell' affermare, fondandosi sul posto che occupa questa materia nelle Pandette e nel Codice (2) che fosse strettamente connessa coi modi di esecuzione forzata (3), cioè colla vendita dei beni del debitore, la quale, come si sa, fu solo nel 664 di Roma, se non introdotta, almeno perfezionata sotto il nome di emptio bonorum (4). Quello che è certo si è, che tale istituzione non ripeteva la sua origine dal jus quiritium, essendo invece stata introdotta coll'Editto del Pretore,

(1) BARAFORT: Traité théorique et pratique de la Séparation des Patrimoines n.o 6, pag. 11; DOLLINGER: Traité de la Séparation des Patrimoines en Droit Romain dans l'ancien et dans le nouveau Droit Français n.o 8, pag. 6; MASSON: Étude sur la Séparation des Patrimoines n.o 4, pag. 7.

(2) Nelle Pandette il Titolo De Separationibus (XLII, 6) stà fra quello De Rebus auctoritate judicis possidendis seu vendendis, e l'altro De curatore bonis dando, sicchè la separazione dei patrimoni doveva aver luogo tra il primo decreto del Pretore, che inviava i creditori in possesso dei beni del loro debitore e il secondo decreto, che nominava il curatore a questi beni, posti sotto la salvaguardia della giustizia, nell'interesse dei creditori. Nel Codice poi è perfino sotto la stessa rubrica (VII, 72), che si tratta dell'invio in possesso dei creditori e delle separazioni.

(3) L'esecuzione forzata, la vendita dei beni del debitore, in una parola l'emptio bonorum, introdotta dalla lex Petillia Papiria, lungi dal doversi considerare come una misura severa contro i debitori, si deve riguardare relativamente ai tempi in cui venne emanata, come una disposizione benigna. I mezzi costrettivi sulla persona del debitore infatti vennero da quella legge abrogati. Non solo non potè più il crudele creditore far vendere il debitore insolvente trans Tiberim o perfino ordinare che tertiis nundinis partes secanto, ma non gli fu più lecito neppure di caricarlo di catene (necti), quando avveniva la manus injectio. Su queste disposizioni rigorose contro i debitori insolventi, ordinate dalla legge delle XII Tavole si consulti la bella opera sulle Legis actiones del Prof. Buonamici e la Storia del Diritto Romano di G. Hugo. (*) Chi volesse sapere, come dalla sectio bonorum, ordinata dalla lex Petillia dell'anno 643, si venisse dal Pretore Publio Rutilio all'emptio bonorum e quale fosse il suo processo, consulti il DOLLINGER: op. cit. §. 3, pag. 6, e seg.; DEMANGEAT: Cours de Droit Romain t. 2 pag. 134; GAJO: Comment. IV, §. 35.

come ci afferma Ulpiano. Ed era naturale, che il provvedimento della separazione dei patrimoni accordato ai creditori e legatari del defunto, come mezzo per sottrarli alle frodi o all' inesperienza dell' erede dovesse essere piuttosto introdotto dal Pretore, che dal rigoroso Diritto Civile. Infatti, stando alla finzione giuridica è vero, che l'erede che ha adita l'eredità, per la finzione che esso continua la personalità del defunto si considera come il defunto stesso, ma in realtà è una persona diversa e secondo i principii di equità non doveva certo sembrare giusto, che il creditore potesse essere costretto a correre forzatamente la fede di un debitore nuovo.

Non è mia intenzione l'esporre in questo luogo dettagliatamente il diritto, che nei primi tempi regolava questa materia, avendo divisato farlo in un apposito capitolo destinato al Diritto Romano; però mi si conceda intanto di notare i caratteri principali di questa istituzione i quali variarono col mutare dei tempi.

La domanda dunque della separazione dei patrimoni che, come ho già notato, era strettamente connessa alle vie di esecuzione contro i debitori, era unica e collettiva (1); essa spettava a varie specie di persone; non poteva essere intentata che dentro cinque anni, ab adita hereditate; e una volta otte

(1) Comunis cautio (Dig. De Sep. 1. 4). MOURLON: Répétitions écrites sur le 2.e Examen du Cod. Nap. ediz. Paris 1866 t. 2. §. 408. BARAFORT: op. cit.. §. 6, pag. 12; DEMOLOMBE: Successions, tom. V, n.o 104.

nuta, mentre secondo alcuni non dava più diritto ai creditori ereditari, che non erano ancora stati soddisfatti per intiero sui beni del de cujus, di concorrere sui beni dell'erede, secondo altri invece dava loro tale diritto, perchè in precedenza fossero stati pagati i creditori personali dell'erede.

Perciò carattere principale della separazione, secondo la maggior parte degli interpreti, che ritenendo esclusivamente la prima opinione di Paolo ed Ulpiano, e ponendo a torto in non cale la seconda di Papiniano, sarebbe quello di un diritto che rescinde l'adizione dell'eredità in un modo assoluto e perpetuo e che fa ritenere l'eredità come tuttora posseduta dal defunto e non dall'erede.

Tale era il concetto, che si formava la legislazione Giustinianea del benefizio della separazione dei patrimoni e tale continuò a sussistere fino al diritto più moderno del Basso Impero (1), epoca in cui verosimilmente ai soli creditori e legatari del defunto (2) si restrinse la facoltà di chiedere la separazione dei patrimoni. Nè poteva essere altrimenti. Abolita la schiavitù, non vi era più luogo, come una volta ad accordare tale benefizio allo schiavo affrancato, che non voleva che il proprio patrimonio si confondesse con quello oberato del patrono (Dig. De Sep.

(1) DOLLINGER: op. cit. §. 2, n.o 4, pag. 2.

(2) Ai quali praecipue, anche nei primi tempi veniva accordata la separazione dei patrimoni, come osserva il VOET: Commentarius ad Pandectas lib. XLII, tit. VI, n.o 2.

1.1 §.18). Allargati i diritti dei figli di famiglia, e scomparsa la distinzione dei peculi, non si parlò più di separazione da accordarsi a chi prestò del danaro ad essi in considerazione del peculio castrense (1) (Dig. De Sep. 1. 1 §. 9). Diminuita l'importanza del principio Romano di voler favorire in tutti i modi la successione testamentaria, scomparve la sostituzione pupillare e con quella la separazione, di cui è questione alla 1. 1 §. 7. Dig. De Sep.

La separazione dei patrimoni si continuò ad accordare dunque ai soli creditori e legatari del defunto (2) e in Italia, fino ai tempi più moderni rimase quale era per lo innanzi, non rinvenendosi negli autori, come osserva il Righini (3), cenno di usi e dottrine contrarie o divergenti, quanto alla sua natura o carattere. La regolarono dunque quelle leggi Romane, che per vastità e giustezza di vedute, per il profondo senso pratico di cui erano improntate, e per quella maestà, che come osserva il Montesquieu (4) ricordava all'Italia la sua dominazione su tutta la terra, non solo sopravvissero alle barbarie medioevali, ma furono perfino tolte a modello dalle mo

(1) DOLLINGER: op. cit. n. 29 pag. 18 avverte, che nel Lebrun si trova fatto cenno della separazione accordata ai creditori del peculio castrense, ma ciò, dice egli, proviene soltanto da una reminiscenza storica.

(2) Anzi nelle moderne Legislazioni sotto l'espressione separazione dei patrimoni non s'intende comunemente che quella accordata ai soli creditori e legatari del defunto.

(3) RIGHINI: La separazione del patrimonio del defunto da quello dell'erede ec. pag. 15.

(*) MONTESQUIEU: Esprit des Lois lib. 28, caар. 6.

derne civili legislazioni. Tuttavia è forza il confessare, che la dottrina Romana della separazione dei patrimoni è stata abbandonata in gran parte al giorno d'oggi, non meno che nell'antico Diritto Consuetudinario francese, ove sebbene il Lebrun dicesse « C'est << une matière, que nons empruntons toute du droit << Romain » tuttavia non pochi furono gli erronei ammaestramenti, che vi incorsero. Ed era naturale, essendo rilasciato nei paesi, ove non vigeva le Droit Écrit, all' assoluto arbitrio della Giurisprudenza il decidere le questioni che potevano presentarsi e non trovandosi in nessuna delle consuetudini di allora fatto menzione della separazione (1). Non solo, essa cessò di essere un accessorio della bonorum emptio, potendo essere invocata in un modo principale, come una via che poteva assicurare ai creditori ereditari il pagamento delle loro pretese (2), non solo non vi fu più bisogno di chiederla (3), non solo erroneamente venne accordata anche ai creditori dell' erede (4), ma perfino essendo stata data la preferenza all'opinione di Papiniano, con una falsa sua interpretazione, come

(1) Anzi, secondo il Ravior sur PÉRIER: quest. 291, osserv. I.a nel diritto Consuetudinario Francese, la parola separazione non si riferirebbe, che a quella detta dai Francesi: séparation de biens et de corps, intercedente tra i conjugi.

(2) DOLLINGER: op. cit. n.o 29, pag. 18.

(3) Sebbene, come dice il LE PRESTRE dapprima fosse necessario di provvedersi dalla Cancelleria delle Lettres Royaux, nel seguito, però il LEBRUN (Tr. des Succ. lib. 4, Cap. 2, Sez. 1, n.o 24) potè dire: « La séparation est < de plein droit parmi nous, et non sujette à demande ».

(*) DOMAT: Lois civiles lib. III, tit. II, n.o 1.

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