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Poi quando il volli dal latte levarlo,
Per gran letizia tu volesti fare
Un bel convito, e a mensa onorarlo
Chi si venne con teco a rallegrare.
Ma dimmi, sposo mio, se gli è onesto,
Qual fin t' ha mosso a dirmi or cosi questo?
Risp. ABRAAM: La ragion vuol che a quel che più si doni
Tanto al dator fien più quelli obligati; '
Però avendo da Dio si magni doni,
Vorrei che alfin noi non fussimo ingrati,
Chè Dio dà e' figliuoli acciochè buoni
Principalmente que' sieno allevati;
E' padri che v' han poca diligenzia
È un dare a' figliuoi del mal licenzia.

1

E dalla parte mia non ha a restare;
Ma tu ancor, si come dolce madre
Che han più spesso e' figlioi seco a parlare
E con più sicurtà che col lor padre,
Custodiscilo in modo nel ben fare

Che tu il conduca in ciel fra l' alte squadre,
Che Dio sotto figura della terra

Di Canam m'ha promesso, e mai non erra.

SARRA risp.: Certo, veder più presto il cuor disia
Corporalmente il mio figliuol morire
Che viver ricco, sano, e per la via
D' infideltà e' peccati seguire;
E nou resterò mai in vita mia
Di fargli il bene e le virtù fruire.
ABRAAMrisp.: E cosi credo, anzi certo ne sono.

E odi quanto Dio vuole et è buono.

El verbo eterno, el qual debe pigliare
Del nostro seme umana carne in terra,
Per esser redentore a liberare

L' anime nostre dalla infernal guerra,
Prima comincierà a operare,
E poi insegnare a qualunque uom che erra,
Chè chi col dire insegna e non fa l' opre
Poco giova a chi ode, e'l falso scuopre.
Però credendo a tal redenzione,

1 Intendi: la ragione vuole che quegli a cui più è donato, tanto più sia obbligato al datore.

E che lui in carne Cristo fia chiamato,
Perchè gli arà la plenaria unzione
Dello spirito santo in lui informato,
E volendo imitar sua perfezione,
Come discepol bene amaestrato,
E esser, benchè il nome non ha ancora,
Ma nell' opre cristian, che fien allora,

Dobbiam di santa vita dargli esemplo,
Che spesso al ben fa l' alma più veloce,
Nè possa dir: Padre, imparo e contemplo
Da voi el mal, chè questo è quel che nuoce.
Chiamalo, andiam, si come al sacro templo,
A ringraziar col core e con la voce
Iddio all' altar nostro edificato,

Ch'e' vuol, siccome è giusto, esser laudato.

Abraam va verso l'altare, e SARRA rimane e chiama Isac e dice:

Vien qua, Isac, o dolce figliuol mio.

Risp. ISAC inginochiandosi:

Che comandate?

SARRA levandolo d' inginochioni dice:

Isac risp.:

Or cosi reverente

Sie sempre a tutti, umil, devoto e pio
Chè molto piace a Dio l' ubidïente,
E vo' che sappi che l'eterno Dio
Ti dette a noi miracolosamente.
Io vo' che per tuo bene e tua salute
Tu fuga e' vizii, e segua le virtute.

Maggior diletto mai ho conosciuto
Che è quanto amar Dio e nel far bene;
Ma perchè i' son fanciul bisogna aiuto
Da Dio impetrar, dal quale ogni ben viene.

SARRA dice: A punto il mio voler t' è or venuto,
Chè 'l padre tuo, che tanto car ti tiene,
Mi t'ha fatto chiamar che all' orazione
Insieme andiamo.

ISAC risp.:

Or su, con divozione.

Vanno all' orazione dove è Abraam, e inginochiati tutti,

ABRAAM dice solo:

A render grazie a te, buon Signor, vengo

Del mio figliuolo e si mirabil dono;

Sol per tua grazia e sol da te lo tengo

E a te lo rendo e offerisco e dono;
Ma perchè senza te mal mi sostengo,
Cosi, con la tua grazia, quei sia buono,
Chè nulla è ben senza la grazia tua,
E accetta or l' orazïon mia e sua.

Finito Abraam, ISAC e ABRAAM con un bel canto dicono que

sta stanza:

O magno Dio, che 'l ciel la terra e 'l mare

Di nulla in si bell' ordine hai creato,
E da te, che non puoi nè vuoi errare,
Nella sua perfezione è conservato;
Dà grazia a noi che non possiamo amare
Altri che te che debbi esser amato,
Vincendo il mondo pien d'affanni e pene,
E nella fin fruir te, sommo bene.

Finita l'orazione si partono, e per la via tornando a casa ABRAAM dice ad Isac:

Risp. ISAC:

Attendi, Isac, al nostro documento

Che t' amiam certo più che non si suole,
E quel che ho visto in opra e sperimento
Tel voglio or dichiarar con le parole.
Fa' che tu sia sollecito e attento

All' orazion che spesso far si vuole
In mo'che in ogni tua operazione
Preceda sempre innanzi l' orazione.

Questa fa l'uom sollecito e fervente
Per sè e per gli altri a santa caritade;
Questa impetra da Dio giusto e clemente
Quel che si chiede a salute e bontade;
Questa m'ha fatto allegro e paziente
E vittorioso d' ogni avversitade;
Questa m'ha fatto spesso in ciel gustare
E' ben celesti et in Dio trasformare.

O caro padre, o dolce madre santa,
Sappiate sol che questo è il mio contento
Di seguir vostri esempli, e voglia tanta
Delle virtù, sprezando oro et argento;
Ma pensate ch' io son tenera pianta
E che 'l sostegno vostro a qualche vento
Bisogna ancor, benchè vi fia fatica.

ABRAAM risp.: E volentier, che Dio ti benedica.

Abraam, Sarra et Isac si pongono a sedere, et ISMAEL si rizza e guardandosi e parendogli essere bello e gagliardo dice da :

Quando mi sguardo ben i' son più bello,

D' almo gentile, giovane e gagliardo,
E parmi che a ciascun che io favello
Mi ponga amore, anzi, com'io lo guardo.
I' vo' bel tempo or ch'io ben posso avello;
Chi non fa quando può, è sempre tardo;
La gioventù de' sempre gire e tendere
A caccie, feste, suoni, canti e spendere.

E voltandosi ISMAEL a' compagni dice così:

Dunque, compagni mia, che stiamo a fare?

Vogliam noi perder tempo e non godere?

El PRIMO COMPAGNO risponde:

Io riniego la fè, chè s' io vo' andare

Un passo fuor, mio padre il vuol sapere.

Risponde il Secondo COMPAGNO :

Risp. ISMAEL:

Voi non sapete una scusa pigliare;
Io fo talvolta in casa bugie bere
Che le vedrebbe un cieco, in fede mia;
E la foggia fa spalle, 1 io raschio via.

E' bisogna anche a me giocar del destro
Se io non vo' che Abraam mi muti suono;
Io non ho più bisogno di maestro,
Nè di tante orazion, nè far sì il buono;
Ma vorrà poi tirar tanto il balestro
Ch'io so che 'l romperà; io so ch'io sono.
Or ch' io conosco il mal, ch'i' vego e odo
Intendo far d' ogni cosa a mio modo.

El TERZO COMPAGNO risponde:

Egli hanno a noi sol quella discrezione

Che ha il lupo a un agnello, io lo veggio;
E non dicon: quand' io ero garzone

Io facevo cosi, e forse peggio.

Risponde il PRIMO COMPAGNO:

Sa' tu dove mi pare aver ragione?

Quand' io guadagno e poi danar gli chieggio,

E vuol sapere perchè, a uno a uno;

1 La foggia era quella parte del cappuccio che pendeva sulla spalla. Ma il

proverbio, non so dichiararlo. Raschio via, probabilmente: io me la svigno.

Poi, borbottando, ho un grosso, o nessuno.
Risp.il SECONDO: El mio potrebbe dir; s' io non volessi
Io non ne metterei in casa un lupino.

Risponde el PRIMO:

El simil fare' io se io potessi;

Ma e' vuole el conto infin a un quattrino.

El SECONDO risponde:

Che diavol te n' andre'stu non gliel dessi?

Risponde el PRIMO:

Non mangerei più in casa pan nè vino.

El SECONDO risponde:

Et io non vi starei, quando e' non vuole ;
Per tutto come qui si lieva il sole.
El PRIMO risp.: Io ho voluto imparare a ballare
E a qualche gentilezza mi son dato,
E sol per non aver poi da pagare,
Come si debbe io non ho inparato.

Risponde il SECONDO:

ISMAEL risp.:

Et io so prima molto ben giocare,
E questo per non essere ingannato;
E cantar e ballar, schermire e suoni
Per esser alle man co' compagnoni.

Non più; ognuno attenda a' casi sua,

E qualche bella gita oggi pigliamo.

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Aspettate pur voi, noi torniamo ora.

ISMAEL risp.: Ognuno sia alla porta infra un ora.

Partesi il primo e il terzo, e vanno pe' cani e per le rete, et Ismael ne va col secondo a vestirsi ad uso di cacciatore e mena seco il gobbo; dipoi si truovano tutti insieme e vanno cantando qualche canzona da sgherri a proposito; et in

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