tunque in realtà non lo sia. Titolo adunque è il fatto giuridico che ha trasmesso la cosa al terzo, e titolo è pure, secondo l'articolo 707, l'attribuire al medesimo le conseguenze o gli effetti di un fatto efficace, sebbene sia inefficace per la mancanza di diritto nel possessore a quo. Ciò posto, s'intenda il titolo nell'uno o nell'altro senso, esso è sempre qualche cosa di diverso dal possesso del possessore a quo. Chi infatti non vede che il fatto, con cui questi trasferisce l'oggetto mobile nel terzo, non è la stessa cosa che il suo possesso, imperocchè esso avrebbe potuto ritenere il possesso e non devenire all'atto traslativo del medesimo a favore del terzo? E se il fatto, titolo, è diverso dal possesso del possessore a quo, nulla di comune può avere con questo l'effetto di un fatto efficace al medesimo attribuito dal legislatore Quali sono inoltre le espressioni che si leggono nell'art. 707? Sono queste: riguardo ai beni mobili per loro natura ed ai titoli al portatore, il possesso produce a favore dei terzi di buona fede l'effetto stesso del titolo. In quest'articolo l'unico soggetto che vi è nominato è il terzo; a chi dunque, se non a lui, può riferirsi il possesso di cui nello stesso articolo si parla? Del possessore a quo non è neppure indirettamente fatto cenno nell'art. 707; come è possibile pertanto che il legislatore abbia voluto riferirsi al possesso di lui allorchè ha formulato la massima, che il possesso vale titolo ? Ci sembra da ultimo molto astruso il concetto, secondo cui il possesso del possessore a quo, che non è titolo per lui, si vuole che produca gli effetti del titolo a favore del terzo; laddove è più chiaro e facile il concetto; che lo stesso possesso acquistato dal terzo in buona fede tenga luogo di titolo a suo riguardo. Se la trasmissione del diritto dal possessore a quo nel terzo potesse ripetere la sua efficacia dal possesso di lui, comprenderemmo in tal caso il concetto, che siffatto possesso potesse tener luogo di titolo a favore del terzo; ma dal momento che il legislatore priva il proprietario della cosa mobile dell'azione vindicatoria di fronte alla buona fede con cui il terzo ne ha acquistato il possesso, è questa buona fede che lo ha indotto a considerare come efficace 233 il suo titolo, quantunque non lo fosse: e non già il possesso del possessore a quo. Arroge, che se il possesso del possessore a quo producesse a favore del terzo gli effetti stessi del titolo efficace, non occorrerebbe che la trasmissione del possesso avesse avuto luogo a riguardo di quest'ultimo, ma dovrebbe bastare l'esistenza della convenzione conchiusa tra il terzo ed il possessore a quo, perchè il possesso di costui potesse servire a quello di titolo, nel senso di far ritenere efficace la convenzione stessa che non lo è punto. Ma noi abbiamo a suo luogo dimostrato la necessità che il terzo abbia acquistato effettivamente il possesso della cosa mobile per invocare a suo profitto la disposizione dell'art. 707 (1), dunque non si può ammettere che il possesso del possessore a quo è quello che produce gli effetti del titolo a favore del terzo. 137. Perchè il terzo di buona fede possa giovarsi della disposizione, che il possesso vale titolo, è necessario che il possesso del possessore a quo sia un possesso legittimo, esercitato cioè con animo di ritenere la cosa in nome suo e come propria, ovvero basta nella persona di costui la semplice detenzione materiale della cosa mobile? La risposta a tal quesito dipende dalla soluzione data a quello di cui ci siamo occupati nel paragrafo precedente, essendochè, se nel possesso del possessore a quo deve ravvisarsi il titolo producente effetto a favore del terzo, si è per logica necessità indotti a ritenere che siffatto possesso dev'essere reale e legittimo; laddove, attribuendo alla buona fede del terzo l'avere il legislatore ritenuto come efficace il suo titolo, quantunque non lo fosse, non è in alcun modo necessario che nel possessore a quo sia un possesso legittimo, ma basta che questi abbia materialmente detenuto la cosa mobile per farne la consegna al terzo. Ascoltiamo l'egregio Tartufari, strenuo sostenitore della prima teorica: Come, egli dice (2), il fondamento giuridico diretto, il titolo dell'eccezione, con cui il terzo neutralizza, per così dire, l'azione del proprietario dell'avente diritto, si è la buona fede raccomandata al giusto titolo, così il fondamento giuridico della buona fede, indiretto dell'eccezione, si è il possesso della persona da cui il terzo ha causa: possesso che, in quanto a lui, terzo, ha 21 la stessa efficacia del titolo, senza uopo di ricercare, se vera (1) Vedi vol. VII, n. 136. (2) Opera citata, p. 107. mente il titolo necessita. È sotto cotesto rispetto soltanto, che l'eccezione del terzo ha molta analogia colla prescrizione acquisitiva. Ebbene, potrà essere un possesso non vero e reale, ma suppositizio o putativo, quello che serve di fondamento alla buona fede e quindi al titolo del terzo? Argomentando per analogia dalla prescrizione, riteniamo che come questa ha d'uopo d'un titolo reale, così reale ed effettivo debba essere il possesso dell'autore, che è il precipuo fondamento dell'eccezione opposta al proprietario »><. Tralasciamo d'osservare che, escluso il principio, secondo cui vuolsi che il possesso del possessore a quo produca a favore del terzo gli effetti del titolo, resta esclusa eziandio la conseguenza, che l'egregio autore ne deduce, quella cioè che il possesso di colui, dal quale il terzo ha causa, debba essere reale ed effettivo, perchè quest'ultimo possa invocare a suo favore la disposizione dell'articolo 707; e soffermiamoci sul rapporto o sull'analogia che si ritiene esistere tra l'eccezione del terzo possessore di buona fede e la prescrizione acquisitiva. Per amore ai principii, e per non alterare il concetto che ha guidato il legislatore patrio, dobbiamo escludere qualsiasi analogia tra l'eccezione che l'art. 707 accorda al terzo possessore di buona fede contro il proprietario rivendicante, e la prescrizione acquisitiva. La prescrizione, infatti, si compie essenzialmente mediante il corso di un termine più o meno lungo; laddove l'eccezione competente al terzo possessore di cose mobili in buona fede compete subito e non appena il terzo ha acquistato il possesso dell'oggetto mobile; qual rapporto adunque d'analogia può trovarsi tra i due istituti, dal momento che ciascuno di essi opera in modo diverso? E, data anche questa analogia, ne viene di conseguenza che il possesso di quello, da cui il terzo ha causa, debba essere reale ed effettivo, perchè possa applicarsi la disposizione dell'art. 707? Non lo crediamo. Suppongasi infatti che io acquisti in buona fede da Sempronio un immobile, del quale esso non è proprietario; ebbene, è necessario forse che Sempronio abbia posseduto legittimamente lo stabile vendutomi, perchè a mio favore possa decorrere tal prescrizione decennale acquisitiva? Niente di tutto 235 questo, perchè io sono in grado di prescrivere, quantunque Sempronio non fosse che detentore in nome altrui del fondo, oggetto del contratto; dunque, se l'eccezione concessa al terzo dall'articolo 707 ha un rapporto d'analogia colla prescrizione acquisitiva, e se per il compimento di questa non si esige in colui, dal quale si ha causa, un possesso vero e legittimo, perchè questo possesso dovrà esigersi per gli effetti dell'eccezione accordata dall'articolo citato? Ma seguiamo il ch. autore ne' suoi ragionamenti, e vediamo come egli per sostenere un' opinione, che non ha fondamento nè nel testo nè nello spirito della legge, confonda cose disparatissime. << Sono taluni, egli dice (1), a cui pare più comoda teoria e sistema più spicciativo il guardare alla sola materialità del fatto. Marco vede in mano di Servio una cosa mobile: ebbene gli occhi di Marco sono incaricati di certificare della sua buona fede sul titolo di Servio; il suo cervello, la sua ragione non v'entrano punto. Servio non può possedere quella cosa, il cui valore eccede manifestamente la portata delle sue facoltà, e se la possiede non la può possedere a titolo di proprietà, o se ragioni di proprietà può vantare sulla medesima, deve averle comuni con altri. Un solo momento di riflessione, la più comune esperienza, l'indagine più facile basterebbe a farne capaci. Ebbene, di tutto ciò Marco non si piglia, non si deve pigliare pensiero : ei bada e deve solo badare, che la cosa è materialmente tenuta da Servio: tutte le altre circostanze non hanno virtù di sollevare dubbi nel fondo dell'anima sua, di offuscare la serenità della sua buona fede. Ma cotali maestri, che possono dirsi i materialisti della giurisprudenza, non pensano che il fatto materiale spesso è apparenza non rispondente alla realtà, e quindi la realtà sacrificano all'apparenza; non avvertono che il puro fatto non può avere influenza nella sfera del diritto, e guai se l'avesse; perchè ogni specie di mala fede, tutte le ipocrisie e tutte le frodi si coprirebbero di quella larva; non considerano la mera esteriorità materiale e fisica essere un puro fenomeno, che può procedere da mille diverse cagioni; il possesso, in quella vece, non puro fatto materiale, sì bene essere un fatto giuridico, e come tale dover essere ravvi- 236 sato e valutato. Fermiamoci pur dunque all'esteriorità delle cose, (1) Opera citata, p. 123. non ci permettiamo di penetrare nell'intima ragione delle medesime, badiamo al solo fatto; ma cotesto fatto non vuol essere un'apparenza, un'ombra, una maschera, una cosa senza significato: vuol essere invece un fatto giuridico, che piaccia o non piaccia, se est res facti non juris, deve dirsi eziandio che non solum facti sed et juris est, plurimum juris habet, vel plurimum ex jure mutuatur ». Se noi non andiamo errati, questo ragionamento ha il difetto di confondere il possesso del possessore a quo colla buona fede del terzo che da lui ha causa. Si dice: dovrà dunque il terzo acquirente appagarsi del solo fatto della detenzione materiale dell'oggetto mobile per parte di colui che glie l'offre in vendita, o non dovrà, almeno, indagare se il venditore si trovi nel legittimo possesso della cosa stessa? Ma questa indagine quale scopo ha? Quello, senza dubbio, di stabilire la buona fede nel terzo. Ora, la buona fede del terzo, che ha di comune coll'indole del possesso esercitato dal possessore a quo? Può il terzo essere di buona fede quantunque quello da cui ha causa fosse semplice possessore della cosa mobile, e viceversa, può essere in mala fede quand'anche il possessore a quo possedesse legittimamente? A qual risultato pratico adunque conduce l'indagine istituita sull'indole del possesso di colui dal quale il terzo ha causa? Una delle due: o il possesso legittimo del possessore a quo si esige come elemento costitutivo della buona fede del terzo, ed in questo caso abbiamo dimostrato che un tale elemento non entra in alcun modo nella buona fede del terzo, che consiste nell'ignorare che il possessore a quo non è proprietario della cosa ceduta, ignoranza del resto che non ha d'uopo di essere dimostrata, perchè sorretta dalla presunzione di legge; ovvero il possesso legittimo si esige nel possessore a quo, siccome quello che può rendere efficace la cessione del diritto da lui fatta a favore del terzo, ed in tal caso diciamo che cotesto possesso è inefficace a raggiungere lo scopo, perchè il possesso, sebbene legittimo, non può attribuire al possessore della cosa il diritto di disporne come il proprietario, o come un altro avente sulla medesima un diritto. A parte pure queste osservazioni, a noi sembra che la teorica 237 che combattiamo aggiunge qualche cosa al testo della legge, e contraddice apertamente allo spirito cui essa è informata. |