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Umiltà bella. Entra intanto in scena suor Orsola a dire che le attrici

Le non voglian più fare

La commedia d' adesso.

Si leva presto presto la scala che doveva in quella figu. rare, come giaciglio del protagonista: si rifanno altre polizze da appiccar agli usci per notizia degl' intervenuti, e dopo, segue quel che ha a essere: vale a dire, che questa Frottola è buona per ogni Rappresentazione.

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All'Annunziazione corrisponde la Licenza che cantasi in fine, e che è generalmente posta in bocca del medesimo personaggio che ha fatto la prima, cioè dell'Angelo, senza che tuttavia manchino casi, nei quali o difetta del tutto, o l'uditore vien congedato da altro attore, che abbia avuto parte importante nell' azione. Cosi nella Regina Ester, quegli che dà la Licenza è Mardocheo; nella Disputa al Tempio, Maria; nel Costantino, lo stesso Imperatore; nel Sant' Onofrio, San Panunzio; nella Sant' Orsola, la protagonista; nella Stella, il padre della eroina; il regal sposo nella Rosana, e così in altre. Nella Rappresentazione del Figliuol prodigo, come quella che dal Castellani era essenzialmente destinata ad ammaestramento della gioventù, esce in fine un giovinetto con la lira, e dice la moralità della parabola.

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È chiaro a che serva la Licenza; con essa si annunzia

1 Parecchie Frottole da servire di Prologo o di Epilogo a Rappresentazioni monastiche trovansi nel Cod. Magliab., VII, 80. Vi è, fra l'altre, una Frottola di certi giovani che vanno a una Compagnia a veder fare una commedia; una Frottola di due contadini, Beco e Nanni, ec.

pag. 166.

2 S. R., vol. I,
'S. R., vol. I, pag. 240.
S. R., vol. II, pag. 234.
S. R., vol. II, pag. 407.
S. R., vol. II, pag. 444.
"S. R., vol. III, pag. 358.
8 S. R., vol. III, pag. 444.
'S. R., vol. I, pag. 386.

il compimento della festa, si ringrazia l'uditorio della benigna accoglienza, si scusano le imperfezioni dello spettacolo, e si promette di far meglio, invitando spesso a qualche altro esperimento, che il più delle volte è promesso per l'anno futuro. Onde nel San Giovanni Decollato:

Iddio vi scampi dagli eterni danni,

A voi grazia conceda senz' affanno :
Noi vi ristoreremo quest' altr'anno.

E identicamente nel Vitel sagginato, che è una forma del
Figliuol prodigo:

Noi vi ristoreremo quest' altr' anno;

e più breve nell'Abram e Agar: 1

A Dio, e ristorarvi.

Formula che si ritrova anche presso i comici, come nell'Ammalata del Cecchi:

Spettatori, se

Sete stati a disagio, perdonateci:
A ristorarvi un' altra volta; 2

è nello Sviato dello stesso Autore:

E se Dio ci concederà vita, noi
Vi promettiam di ristorarvi; 3

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e nei Lucidi del Firenzuola: Addio, a ristorarvi un'altra volta: ma che non vuol dir punto, come opinò il Palermo, che dagl' intervenuti si usasse «< terminata la festa, dare una qualche cena o ristoro ai rappresentanti »; chè, se fosse, sarebbe una canzonatura il prometterla per l'anno venturo; senza che, la formola è in bocca agli attori. Il ristoro è posto nel maggior piacere che gli uditori avranno in altra occasione.

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Nella Licenza si spuntavano le armi alla critica malevola, confessando gli errori in che si fosse caduti, come nell' Abram e Agar:

S'è fatto qualche errore

Com'è nel fare usanza,
Non di poca importanza,
E massime ne' versi.
Nè si buoni nè tersi

Come si potre' fargli,

Ed anche nel cantargli

Qualcuno inavvertente :

Ma universalmente

È stato da laudare.

Non altrimenti troviamo nel Teatro spagnuolo:

Perdonad las faltas nuestras....

Perdon de sus muchos yerros.

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Qualche volta non agli spettatori, ma si chiedeva indulgenza a quella stessa divinità, al cui onore eran indiritte le fatiche dei recitanti; onde nel Salomone:

E se fussi commessa alcuna cosa,

La quale ad imputar fussi d' errore,
Preghiam la Majestà sua glorïosa
Come benigno e sommo Redentore
Che ci perdoni;

e nell' Abele e Caino:

E se fusse commessa alcuna cosa,
Mancata per errore o per difetto,
A Dio perdon chiegiam.

Ma non poche volte alla Licenza è sostituito addirittura, e più spesso soggiunto, qualche canto ecclesiastico o popolare. Termina il Costantino col Te Deum, e così pure l'Esempio di San Bernardo, ove è intonato da

1 S. R., vol. I, pag. 38.

2 TICKNOR, Op. cit., vol. III, pag. 110.
S. R., vol. II, pag. 234.

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tutti quelli che hanno fatto questa Rappresentazione; ma le più finiscono con una Lauda divota, come la Santa Dorotea, la Santa Agnese, la Santa Agata, la Santa Eufrosina, il Mosè, la Purificazione, la Resurrezione, il Miracolo della Maddalena,* la Santa Eufrasia, i Sette Dormienti, l'Agnolo Ebreo, e per farla breve, la maggior parte. Era questo quasi il suggello finale che allo spettacolo confermava il suo carattere divoto, e ribadiva il concetto che il sollazzo non era lecito se non accompagnato da sensi di pietà.

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A queste Laudi spesso si aggiungono atti di devozione, confacenti al soggetto. Nei Sette Dormienti la Lauda è cantata andando a processione il Vescovo, il Prefetto. e l'Imperatore; il San Lorenzo finisce col solenne accompagnamento funebre del Martire. Invece le Rappresentazioni che non trattano di passioni e di martirj, si compiono in altra forma. Il San Venanzio del Castellani finisce con un trionfo romano: E' Romani escono dal castello col carro trionfale, e con le spoglie e con le trombe, e dopo che quello che è sul carro trionfale dice un'ultima stanza inculcando l'amor di Dio, partonsi con suoni e trombe, e vanno a Roma. Nel Re Superbo tanta è la gioja del convertito peccatore, ch'egli stesso intima una danza finale:

Su, servi, per poter il ciel godere

Trovate e' suoni, e si balli una danza;
E fuggiam l'ozio ch'è pessimo male:
Pigliam piacere or qui spirituale.

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Ugual conclusione è nella Stella: l'allegrezza del Re per aver trovata la figlia è siffatta, ch'ei vuole che

Ognuno in festa sia ed in danzare:

Su, suonator, cominciate a suonare;

Cod. Riccard., 2816.

2 S. R., vol. I, pag. 221.
3 S. R., vol. I, pag. 355.
S. R., vol. I, pag. 424.
5 S. R., vol. II, pag. 324.
S. R., vol. II, pag. 378.
7 S. R., vol. III, pag. 497.
S. R., vol. III, pag. 198.
9 S. R., vol. III, pag. 359,

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e similmente nella Rosana:

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Or suoniamo e balliamo e facciam festa.

Piacere spirituale chiama l'autore del Re Superbo questi umani diletti, che la natura del luogo e la qualità dell'occasione purificava; nè balli di tal fatta dovevano parer nuovi o strani in Firenze, che ai tempi del Savonarola aveva visto le sacre danze dei Piagnoni in Piazza San Marco.

XXII.

Metro e Canto delle Rappresentazioni.

Come ogni altra forma della più schietta letteratura popolare, la Rappresentazione è in poesia: nè si sarebbe. certo neppur concepito che avesse potuto essere d'altra maniera. La dicitura prosaica del Dramma poteva essere pensata e messa in opera soltanto da letterati; laddove presso il popolo non sarebbesi mai capito che potesse separarsi il concetto drammatico, naturalmente poetico, dalla corrispondente veste poetica.

Il metro quasi costante, e potrebbe dirsi proprio, della Rappresentazione toscana è l'ottava rima: metro che, per quanto nobilitato dall'arte e sempre da questa usato nell' epica più sublime, era nato fra il popolo, dal popolo perfezionato, e anche adesso è rimasto alla improvvisazione volgare. Nell' Umbria invece abbiamo già visto come la sacra Drammaturgia si giovasse della strofa ottonaria propria alla lirica plebea, e della strofa mista di endecasillabi settenarj, che la Ballata prese per sua; ma vedemmo anche che ben presto se ne scostò, come ne porgono esempio le Devozioni, per adottare invece il metro della poesia narrativa, colla quale il genere drammatico aveva più con

S. R., vol. III, pag. 444.

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